Come scrivere un libro quando non hai ispirazioni

Tutto è pronto sulla mia scrivania: il pc acceso con la sua pagina Word bianchissima, la musica di sottofondo che dovrebbe suggerire emozioni, una tazza di tè caldo per le pause, un romanzo messo accanto alla tastiera per ispirazione. Tutto è pronto. Adesso posso chiudere tutto. Non c’è speranza che io oggi possa scrivere una sola riga del mio prossimo libro.

Come scrivere un libro: quando l’ispirazione non giunge a comando?

L’ispirazione non giunge a comando, non la si ottiene ricreando delle condizioni ideali, non la attirerò con del polline succoso come faccio con le api. Viene da sé, ma non posso neanche aspettarmi che mi raggiunga tra le quattro mura della mia stanza. Se vuoi scrivere un libro, non c’è niente di meglio che alzarti dalla sedia e uscire. L’ispirazione non si trova nel luogo dove ti sei esiliato. L’ispirazione è nella vita. Dunque va’ e vivi.

Adesso che lì fuori ti sei procurato una mezza idea o un’intera emozione, puoi tornare al tuo scrittoio per tradurla in parole. È la storia che cerca te, non il contrario. Non sei tu che ti intrufoli col tuo grigiore nel regno dell’ispirazione per cercare qualcosa da rubare, bensì è lei che viene a colorare i dettagli della tua vita, a rendere poetico anche il bere un caffè con un amico, e da lì partorisce in te una storia. Non sono uno di quelli che ritiene che tu debba aver già in testa tutti i dettagli della trama. Non sei un chirurgo che conta le garze prima di operare, che deve prevedere di quali utensili avrà bisogno. L’importante è che tu sappia da dove parti e dove vuoi arrivare, questo è l’essenziale per la tua avventura. I dettagli lasciamo che arrivino come imprevisti di viaggio, e saranno i più bei souvenir che riporterai in valigia.

Cerca però di viaggiare insieme a degli amici: è importante che tu conosca i particolari dei tuoi personaggi – quello che amano, i loro passatempi più assurdi, i segreti della loro vita privata che hanno confessato solo a te. A quel punto non dovrai scrivere tu una storia per loro: saranno loro stessi a effettuare le proprie scelte. Di fronte ad una strada verso l’ignoto non ci comportiamo tutti allo stesso modo. Il tuo nipotino si avventurerà da solo per scoprire dove porta, mentre la tua ragazza penserà che non è prudente per lei aggirarsi per una strada desolata; l’impiegato che abita da quelli parti troverà quella via di casa abituale e monotona, ma forse per il ragazzo che va a conoscere i genitori della sua futura sposa quel viale sarà colorato di mille emozioni. Lascia che i tuoi personaggi facciano le proprie scelte, e tu divertiti a prevederle come farebbe il loro migliore amico.

Diversi tipi di incipit: esistono molteplici punti dai quali la tua storia può incominciare

A me, personalmente, piace che il primo capitolo sia breve e a metà tra la realtà e il sogno, quasi una sorta di fase REM prima di svegliarmi completamente nell’inizio del mio romanzo. Non si tratta però soltanto di una questione di gusti personali.

L’incipit è una necessità del tuo libro, una sua urgenza. Pensala così: hai mandato una lettera di scuse alla donna che ti ha mollato, e sai che potrebbe interrompere la lettura non appena leggerà il tuo nome. Hai solo le prime righe – forse la prima soltanto – per convincerla a non desistere dal dedicarti il suo tempo. Scegli dunque bene la situazione iniziale che spinga il tuo lettore a continuare la lettura. Deve pensare che ne valga la pena incamminarsi tra le pagine del tuo libro, che quella passeggiata su ponti di carta alla fine possa cambiare il suo cuore. E magari, giunto all’ultima pagina, sia contento di perdonarti per aver preso il suo tempo.

Così come esistono diversi punti dai quali dare inizio alla storia, esistono anche diversi punti da cui guardarla. Sei un personaggio interno alla storia o un narratore esterno agli eventi? Dalla risposta che ti dai ne verranno fuori due approcci differenti alla scrittura: in un caso racconterai la storia attraverso i tuoi sentimenti, nell’altro attraverso le azioni dei tuoi personaggi. Ed è una differenza non da poco.

l narratore interno empatizza col lettore, gli fa conoscere tutto quello che prova, compreso lo struggimento di non sapere ciò che gli altri pensano. Quello esterno, invece, poiché può trovarsi in più luoghi e in più teste contemporaneamente, può osservare la storia da ulteriori angolazioni. Esistono ovviamente diversi escamotage per dar voce ai pensieri di un personaggio pur rimanendo al di fuori di lui – anche i gesti veicolano sentimenti –, ma bade bene di restare fino alla fine coerente con la tua posizione: se sei tu a raccontarmi la tua versione della storia, sarebbe presuntuoso voler affermare con certezza cosa passi nella mente di un’altra persona.

Stabilito chi racconta la storia, se vuoi che io mi fidi di te, non portarmi in giro con gli occhi bendati: fammi sapere il luogo e il tempo in cui ci troviamo – se mi hai portato lontano da casa o addirittura in un’altra epoca. Non è necessario che me lo indichi sulla carta geografica o che tu mi dica chi c’era al governo in quell’anno – alla mia immaginazione bastano pochi dettagli per ambientarsi, giusto per sapere se i tuoi personaggi indossano blue jeans o il copricapo della propria tribù, se chiamano casa col cellulare o hanno bisogno di qualcuno che recapiti la loro lettera, se vanno al lavoro in auto o in astronave. Lo scenario è molto importante, non solo per la coerenza narrativa. È importante affinché io, lettore, possa mettere piede col mio corpo nella tua storia, immergermi nei luoghi dove la tua mano mi trascina, avere le vertigini per le altezze a cui tu mi sollevi, odorare i fiori che mi regali, gustare le pietanze che prepari per me. Lo scenario è importante affinché io senta nelle mie membra la tua storia. Perché forse potrà sfuggirmi che quel cavaliere sul carrarmato è anacronistico, ma una sensazione, quella non mi sfuggirà di certo.

Adesso che sappiamo tutto, sappiamo di non sapere ancora l’essenziale: perché ci troviamo qui? Dove stiamo andando? È il momento di scrivere la nostra storia.

Prenditi il tempo (e il tempo verbale) che ti occorre. Non raccontare al presente qualcosa che è accaduto tempo fa, perché potrei pensare che non ti sei mai ripreso da quel trauma, e non parlare al passato di un evento che stiamo vivendo insieme in questo momento, perché potrei dubitare che tu mi sia veramente accanto. Ricordati sempre che siamo in due, tu che scrivi e io che leggo, e dobbiamo camminare allo stesso ritmo se desideri che arriviamo insieme alla fine del libro. E per questo non andare troppo di fretta se io ho bisogno di leggere un’emozione in profondità, non voltare subito pagina mentre sto ascoltando quella dichiarazione d’amore che aspettavo sin dalle prime righe, non scappare via mentre tengo la mano al mio personaggio preferito che muore. Ci sono momenti in cui il tempo si arresta: non sorvolare sulle cose che per me sono importanti. E allo stesso modo non dilungarti su dettagli che non sono necessari: potrei annoiarmi, sfogliare il tuo libro come un cumulo di cianfrusaglie inutili. Fermati in un punto solo se è un punto nodale della trama.

A proposito di nodi, la storia non deve essere obbligatoriamente lineare. Ci sono nodi che è piacevole sciogliere, come quelli del nastro sulla carta da regali. Se hai preparato per me una bella sorpresa, non ti farò una colpa di quel tempo che ho impiegato per allentare il nodo un po’ alla volta.

Probabilmente ti hanno detto che nel corso del libro i personaggi cambiano, crescono, maturano. L’aspettativa del lettore è quella di trovare nel tuo libro questo processo, osservare i tuoi personaggi che, interiormente, partono da un punto e arrivano ad un altro, nel bene o nel male.

Questo fluire degli eventi lo chiamiamo vita, e il lettore vuole sentire che i tuoi personaggi sono vivi, vitali in relazione allo scorrere del tempo. Puoi anche raccontarmi di personaggi dalla pelle così dura che, nonostante quello che gli accade, non cambiano. Sono i cosiddetti antagonisti. Non è gente cattiva: è gente statica, che, in qualunque segmento della loro vita tu li guardi, è sempre uguale. La loro vita dunque non avrebbe nulla da dire se non in relazione a quella dei protagonisti, sulla cui via si sono piazzati come un’enorme pietra, immobile, da superare. 

La moderna tecnologia ti permette di rivedere e correggere quello che avevi detto in precedenza senza dover riscrivere tutto. Puoi in qualsiasi momento tornare indietro e aggiungere un dettaglio che avevi dimenticato o che ti è venuto in mente soltanto adesso, o cancellare un passaggio che non ti convince più. Non essere però un viaggiatore del tempo disattento, uno di quelli che riscrivono il passato e creano paradossi temporali nel futuro. Dopo aver modificato qualcosa, rileggi sempre tutto per essere certo che ogni cosa sia coerente con la tua aggiunta. 

Ti hanno insegnato che il finale di un libro è sempre anticipato dal climax. Climax non è per forza sinonimo di colpo di scena. Non deve scoppiare l’invasione aliena mentre i due innamorati stanno per scambiarsi il primo bacio. Il climax è la conseguenza del ritmo di cui abbiamo parlato finora. Se sono finalmente sul punto di sciogliere il nodo del tuo regalo, il mio cuore batterà più rapidamente per l’emozione di vedere cosa c’è nella scatola. Ecco, questo cardiopalmo si deve sentire.

Scegli dunque con cura le parole

Devono pulsare le virgole e i punti, le tue frasi devono battere con veemenza sulla mia cassa toracica, devono tremare le ultime pagine come se si stesse abbattendo la fine del mondo. E in effetti sei alla fine del mondo narrato in quel libro. Non lasciare che i suoi ultimi minuti prima del punto finale collassino silenziosi.

Sei all’ultima pagina adesso. Come per l’incipit, anche qui ci sono diverse angolazioni da cui puoi salutare il tuo libro. Finali che scrivono punti fermi, che non lasciano spazio ad altre domande, e finali che sono porte socchiuse, dove ciò che è raccontato confina con quello che ancora si potrebbe raccontare, quello che il lettore vorrebbe ancora sapere e che per il momento gli lasciamo immaginare. Che la porta rimanga chiusa o socchiusa, a me piace affacciarmi sullo scenario migliore tra quelli possibili. Non si tratta di buonismo, non è che il lieto fine sia obbligatorio. Ma mi piace concludere con la sensazione che quella storia avesse senso di essere raccontata, che tutta la trama all’interno del libro e anche quella prima, quella che mi ha portato a scrivere quel libro, avesse trovato il suo significato per essere lì dov’è. Perché, se così non fosse, non avrebbe avuto senso sedermi a scrivere qualcosa. Ad ogni modo, ognuno scrive il punto dove crede di aver detto tutto. Non è obbligatorio che le tue ultime parole siano famose, non stai scrivendo il tuo epitaffio. Stai scrivendo però quello dei tuoi personaggi: abbine rispetto.

C’è una cosa che ti dico per ultima, una domanda che ti pongo soltanto adesso, ma che in realtà è la prima cosa che devi chiederti prima di incominciare: perché scrivi?

Non devi inventarti risposte nobili, non devi dirti per forza che scrivi per aiutare la gente o che vuoi devolvere il ricavato delle tue vendite in beneficenza. Perché vuoi scrivere il tuo libro? O, forse, per chi? Umberto Eco disse: “C’è una sola cosa che si scrive solo per se stesso, ed è la lista della spesa. […] Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa a qualcuno”. Chi vuoi dunque raggiungere con la tua voce? Qual è la motivazione che ti spinge a dedicare i prossimi mesi a questa storia da raccontare?

Cerca di avere sempre la risposta dentro di te, in ogni momento durante la stesura del tuo libro. Perché sarà soltanto questa risposta che darà volume alla tua voce, e alle tue parole la forza di navigare più lontano del lido delle tue labbra. Soltanto se saprai non dove vuoi andare, ma chi vuoi raggiungere. 

Francesco Filastò